giovedì 10 dicembre 2015

Salmone e cavolfiori, connubio inaspettato!

Ora di pranzo, marito affamato, idee su cosa preparare -10, apro il frigo in cerca di ispirazione: nulla, solo un contenitore con i cavolfiori lessi di ieri e una confezione di salmone prossima alla scadenza.
Oggesù, ed ora? Che gli propongo? Corro su internet nella speranza di poter utilizzare entrambi gli ingredienti in un improbabile ricetta ed il web, come sempre, risponde generosamente alle mie preghiere: Pasta salmone e cavolfiori in tutte e salse. Inizio a leggicchiare velocemente qualche ricetta e mi dico: Ok, se po' fa'!
Torno rincuorata in cucina, affetto un po' di cipolla, la rosolo in un po' d'olio, ci aggiungo il salmone tagliato a listarelle e poi lo sfumo con del vino bianco. Qui il mio tocco di originalità, dettato più dalla fortuna che da scienza culinaria: ci aggiungo una spolverata di curcuma (con moderazione, non si sa mai che ne viene, potrei distruggere l'unica possibilità che mi offre il frigo!) e una più abbondante di paprica piccante. Per finire aggiungo le cime di cavolfiori lessate e schiacciate con una forchetta e lascio insaporire. Nel frattempo l'acqua per la pasta, messa sul fuoco insieme al salmone, giunge a bollore, per cui la salo e ci cuocio la pasta, fusilli, per l'esattezza, ma credo che qualsiasi tipo di pasta corta vada bene. Con l'acqua di cottura della pasta allungo poi il sughetto di cavolfiori e salmone, perché tende ad asciugarsi troppo. Alla fine salto i fusilli nel condimento e ci aggiungo una manciata di prezzemolo tritato.
Beh, che dire? Risultato ottimo, oltre che salutare!



I cavolfiori sono ricchi di minerali e vitamine, in particolare di vitamina C, sono antiossidanti ed antinfiammatori e sono inoltre indicati in caso di diabete in quanto contribuiscono, con la loro azione, al controllo della glicemia. Secondo recenti studi il cavolfiore avrebbe peraltro proprietà anticancro. I cavolfiori, inoltre, aiutano a regolare il battito cardiaco e a tenere sotto controllo la pressione arteriosa, stimolano il funzionamento della tiroide e sono utili nell'alimentazione di chi soffre di colite ulcerosa.


Il salmone svolge un importante effetto benefico sul nostro organismo, grazie al notevole contenuto di Omega 3 e di grassi polinsaturi, che contrastano i radicali liberi e rallentano l'invecchiamento cellulare, svolgendo quindi un'importante azione protettiva nei confronti di diverse malattie, tra cui, secondo alcuni studi, anche i tumori. I grassi polinsaturi del salmone inoltre ridurrebbero il declino delle capacità mentale oltre ad avere un potenziale effetto antidepressivo. Gli Omega 3 consentono il controllo dei valori del colesterolo totale nel sangue, otre a favorire l'aumento di quello "buono". Il salmone apporta inoltre buone quantità di vitamina D, fondamentale per favorire l’assorbimento del calcio e favorire la mineralizzazione dello scheletro, pertanto è un utile supporto nel prevenire l'osteoporosi. Oltre che di vitamina D, il salmone è ricco anche di vitamine B6 e la B12, e di alcuni sali minerali, in particolare il fosforo e il selenio, mentre basso è il contenuto di sodio.


La curcuma, pianta erbacea dal colore giallo-ocra di origine indiane, detta anche “zafferano d’india” o “zafferano dei poveri”, ha notevoli proprietà antiossidanti. L'interesse per la curcuma è infatti derivato dalla scarsa incidenza di tumori in India. Le proprietà antiossidanti della  curcuma sarebbero da attribuire ad una sostanza presente al suo interno, la curcumina, che avrebbe il potere di bloccare la crescita delle cellule tumorali, trasformando i radicali liberi in sostanze innocue per l'organismo. La curcuma avrebbe inoltre proprietà antinfiammatorie, digestive ed epatoprotettrici. Un cucchiaio di curcuma sciolto in un bicchiere d'acqua aiuterà a digerire meglio e beneficiare di tutte le proprietà della spezia. Ottimo cicatrizzante, la curcuma è un alleato contro influenza e mali di stagione. Infatti la sua ingestione attiverebbe un enzima antimicrobico, già attivo nel nostro organismo, le cui potenzialità verrebbero triplicate.


Infine, la paprica. Ottenuta dalla macinazione del peperoncino, fatto essiccare privato della parte bianca, la paprica ha un'azione tonica e antisettica, stimola l’apparato digerente, facilita la digestione e rinforza quello circolatorio.

Completamente ignaro di tutto, il maritino, mangiando il suo bel piatto di pasta, mentre commentava con un distratto "Mhh, buooono!" alla domandina di rito "Cooom'è?", in realtà ingurgitava vagoni di vitamine, proteine e sali minerali ed io mi sento tanto una brava e premurosa mogliettina!

lunedì 7 dicembre 2015

Oggi pittule!



Vigilia dell'Immacolata, in onore della Madonna oggi i salentini hanno osservato un rigorosissimo digiuno.
In pratica, hanno saltato la colazione.
Per purificare corpo ed anima e per ringraziare la Vergine Maria, infatti, nella giornata di oggi non si mangia carne, ci si riserva una giornata di magra ed io mi concedo la licenza di immaginare la Madre Celeste farsi delle gran belle risate (ovviamente dettate da materna tenerezza) nel vedere la faccia contrita (in segno di sacrificio e penitenza!) delle donne salentine mentre danno il via ai preparativi del pranzo della vigilia. Perché è vero che in questa giornata non si mangia la carne, ma le pietanze che per tradizione si preparano in quasi tutte le case del Salento sono tutt'altro che magre.
Regine della tavola della vigilia dell'Immacolata, ma anche della vigilia di Natale e di Capodanno, sono le pittule.
Esempio tipico della tradizione culinaria del Salento contadino, queste pallottole di pasta lievitata, hanno per secoli sfamato le famiglie salentine sopratutto nel periodo invernale. I suoi ingredienti poveri, farina, acqua e lievito infatti ne fanno un cibo semplice e alla portata di tutti, anche se potevano esserci anni di carestia in cui veniva a mancare anche quel poco di farina e di olio sufficiente a nutrire grandi e piccini. Nella storia della mia famiglia è rimasto un ritornello che i miei nonni ripetevano a mio padre e mio padre a me a testimonianza della durezza dei tempi passati. Poche parole su una vigilia di Natale fredda, con la cucina spenta, senza farina, né olio per fare le pittule, non sembrano neanche una richiesta d'aiuto al Padreterno, ma semplicemente un lamento disperato
Pittule  nu tenimu, è fridda la cucina, sprovvisti te oiju simu, è scarcia la farina
Si racconta inoltre che anche gli animali potevano godere delle pittule almeno una volta l'anno, proprio nel giorno di Natale. Si pensava infatti che gli animali in quel giorno potessero parlare con gli angeli e se fossero stati contenti dei loro padroni che gli avevano consentito di mangiare pietanze buone e gustose, allora gli angeli sarebbero stati benevoli nei confronti di quei contadini che si fossero presa buona cura dei propri animali.
Passano i secoli, cambiano i tempi, ma la preparazione delle pittule rimane un momento di aggregazione e di festa, oggi come ieri.
Preparare le pittule ha una sua liturgia fatta di azioni immutate nei secoli, la lavorazione dell'impasto, col braccio teso che gonfia con vigore il composto, fino a fargli prendere vita, fino a sentirlo quasi gioire mentre incamera aria è qualcosa di magico e quasi commovente.
La ricetta è semplicissima, la maestria è richiesta nella lavorazione dell'impasto: non è sufficiente mescolare gli ingredienti, è necessario gonfiarlo facendogli incamerare aria. Gli ingredenti sono:

1 kg di farina 00,
1 lievito di birra,
1 cucchiaio da minestra di sale
800 g di acqua

In una ciotola disporre la farina e il sale e dopo averlo sciolto in un bicchiere di acqua tiepida, aggiungere il lievito e per finire l'acqua, con gradualità. Impastare come detto prima con vigore fino a che l'impasto non risulta gonfio (in dialetto salentino si dice: finché nu face l'occhi - finché non fa gli occhi, cioè finché non iniziano a formarsi delle bolle d'aria). Coprire con un canovaccio e lasciare lievitare fino al raddoppio. Friggere in abbondantissimo olio d'oliva o di semi, aiutandosi con un cucchiaio e lasciano cadere nell'olio palline di impasto delle dimensioni di una noce. Scolare bene e far asciugare su un foglio di carta assorbente.
All'impasto delle pittule possono aggiungersi anche pezzetti di baccalà, cimette di cavolfiore o di broccoli, cicorie, cozze o frutti di mare oppure pomodorini spezzattati e ben sgocciolati, con l'aggiunta di capperi, alici, olive e peperoncino.
Le pittule vanno mangiate calde e possibilmente accompagnate da un buon bicchiere di vino.
Prima di concludere, la chicca dolce: le pittule semplici possono essere "pucciate" nel vincotto, primo mosto reso sciroppo da almeno dodici ore di cottura, oppure possono essere rotolate in zucchero, soprattutto se fredde.



domenica 6 dicembre 2015

Da San Nicola a Santa Claus

Oggi è il sei dicembre e si festeggia San Nicola di Myra, conosciuto anche come San Nicola di Bari.
Ho sempre saputo che la figura di Babbo Natale fosse stata ispirata da questo santo, ma solo da poco ho iniziato, così, quasi per caso, a “sfogliare” il web alla ricerca di qualche informazione sulla bibliografia del Vescovo Nicola.
Ho scoperto un uomo buono, prima ancora che un santo.
Nato fra il 260 e il 280 d.C. a Patara (Turchia) da una ricca famiglia del luogo, alla morte dei genitori ereditò un ricco patrimonio che utilizzò per aiutare i poveri.
In realtà sulla vita di San Nicola si hanno poche notizie certe, e quelle che abbiamo sono intrecciate con racconti e leggende. Tutte le notizie tuttavia concordano nel presentarci un uomo che ha dedicato la propria vita ai poveri ed ai bisognosi. Si racconta che regalasse cibo e denaro ai meno abbienti, calandoglielo anonimamente attraverso il camino o dalle finestre delle loro case, oppure che una volta andò in aiuto dei bambini poveri ed affamati di una lontana città, raccogliendo frutta, verdura, farina e zucchero dal mercato del suo paese che poi caricò su una barca con la quale egli stesso navigò fino alla città. Una volta arrivato, bussò ad ogni casa dove vivesse un bimbo povero e lasciò ad ognuno un cesto pieno di cibo. La tenerezza di Nicola verso i piccoli è poi testimoniata dal miracolo con il quale riportò in vita tre bambini che un macellaio malvagio aveva ucciso e messo sotto sale per venderne la carne.
San Nicola è, non a caso, il protettore dei bambini.
Nicola tuttavia era attratto da tutti i bisognosi. Si racconta di un padre di famiglia oberato dai debiti, che non riusciva a far sposare le proprie tre figlie, perché la povertà in cui versava non gli consentiva di dare loro una dote sufficiente e la disperazione era tale che il padre aveva deciso di avviare le figlie alla prostituzione. Nicola, venuto a conoscenza del fatto, decise di aiutare quella famiglia, donando loro il denaro sufficiente per far sposare le tre figlie. La leggenda narra che Nicola, per due volte avesse lanciato un sacchetto pieno di monete dalla finestra per non farsi scoprire e una terza l'avesse calata dal camino. Questo episodio ha reso San Nicola protettore delle donne nubili, soprattutto di quelle che hanno il desiderio di sposarsi. A partire da questo racconto, inoltre, san Nicola divenne nella fantasia popolare colui che nella notte della sua festa, il 6 dicembre, portava doni ai bambini buoni e bisognosi, calandoli attraverso il camino o lanciandoli attraverso una finestra aperta. 
Noto come il Santo del dono, Nicola muore a Myra nel 352 e qui il suo corpo rimase fin al 1087, anno in cui un gruppo di pescatori baresi riuscì a sottrarne i resti ai Turchi che avevano invaso la città e a portarli a Bari, dove giunsero il 9 maggio dello stesso anno.
San Nicola è patrono di Bari dove si festeggia sia il 6 dicembre, sia il 9 maggio, data appunto in cui il Santo arrivò nella città. San Nicola, inoltre, è patrono anche della Russia, della Lorena e della città di Amsterdam.
Il culto di San Nicola si diffuse sin dal medioevo in tutta Europa e in occasione della sua festa, in alcuni Paesi europei come Italia sopratutto del nord, Svizzera, Germania, Polonia, Olanda e, più in generale, nel Nord Europa, si affermò l’usanza di attribuire a San Nicola il compito di distribuire doni ai bambini: secondo la leggenda, il Vescovo arriverebbe di notte in groppa a un cavallo (o a un asino), lasciando dolci e strenne nelle scarpe dei bimbi buoni. Ma, se nell’Europa meridionale ed orientale la tradizione della festa del Santo al 6 dicembre e dei doni in suo nome non si interruppe mai, se non in tempi recenti, le cose andarono diversamente nell’Europa del Nord. Con l'avvento del protestantesimo, infatti, si vietò la venerazione dei santi e in particolare le tradizioni legate a San Nicola. Ma per quanto rigido fosse stato l'atteggiamento di Lutero e dei protestanti, soprattutto olandesi, nessuno riuscì a sradicare dal cuore dei bambini l'immagine di San Nicola, tanto che se si riuscì ad “addormentare” il ricordo del santo, non si riuscì ad allontanare dal folklore popolare la memoria dell’uomo dei doni.
Sono infatti proprio navi di olandesi protestanti ad aver portato il mito di San Nicola in America. Quando, nel 1613, gli Olandesi fondarono New Amsterdam, l'attuale New York, infatti, portarono con sé tutte le loro tradizioni ed anche la devozione a San Nicola, in olandese Sinterklaas, da cui poi sarebbe derivata la pronuncia americana Santa Claus.
Con l'arrivo nel nuovo mondo, Sinterklass è ormai definitivamente staccato dalla tradizione cristiana di San Nicola, per cui, col tempo, data la vicinanza della festa a lui dedicata con la vigilia di Natale, notte dello scambio dei doni per eccellenza, la consegna dei regali ai bimbi buoni si spostò dal 6 al 24 dicembre.
L'immagine di Santa Claus, col pancione ed il barbone bianco la dobbiamo allo scrittore americano Clement Clarke Moore, il quale nel 1823 scrisse la poesia A visit from Saint Nicholas dove descrisse il santo appunto come un elfo tondetto, con una lunga barba bianca, che giudava una slitta trainata da renne.
Se per il Natale del 1862 l'illustratore Thomas Nast raffigurò, sulla rivista statunitense Harper's Weekly, Babbo Natale con giacca rossa, barba bianca e stivali, sarà tuttavia la pubblicità della Coca Cola a conscegnarci l'immagine di Santa Claus che tutti conosciamo ancora oggi. Nel 1931, l’illustratore Haddon Sundblom, consegnò alla storia quello che rimarrà per sempre nell'immaginario di grandi e piccini Babbo Natale, traendo spunto da un personaggio britannico esistito realmente, con grande pancia e barba bianca e con un mantello verde che ispirò lo Spirito del Natale presente del racconto Canto di Natale di Dickens.

E così dopo aver leggicchiato qualcosina, un'adulta ancora innamorata di Babbo Natale, oggi è felice come una bimbetta, perché ha scoperto che quest'omone col pancione, la barba bianca, le giubba rossa col pellicciotto, le renne, la slitta, il suo Oh Oh Oh, i doni, il camino da cui si cala, nel quale ha intensamente creduto da piccola, in realtà non è semplicemente un personaggio fantastico, frutto di folklore e leggende, ma è esistito realmente tantissimi anni fa e continua a vivere ancora oggi. 
Vive non solo nel cuore dei bimbi, ma anche in quello degli adulti, che pur essendo stati costretti a crescere e crescere significa anche dover conoscere verità poco piacevoli, conservano ancora vivo il ricordo dell'ansia di non offendere Babbo Natale, facendo i cattivi, della letterina con i doni, spedita al Polo Nord, dell'attesa, dell'elettricità della vigilia, degli occhi serrati e costretti a dormire, perché sennò Babbo Natale se siamo ancora svegli non viene, della frenesia della carta da regalo strappata per scoprire cosa l'omone ci ha lasciato sotto l'albero, della gioia di scoprire qualsiasi cosa, perché purché sia regalo qualsiasi cosa va bene. Racconto quello che succedeva quando ero piccola io, ma è esattamente quello che succede oggi ai miei bambini.
Santa Claus è magia ed è una meravigliosa parentesi fantastica in un mondo sempre meno colorato. Ed io ringrazio San Nicola per il suo dono di Babbo Natale, perché grazie a lui grandi e piccini almeno per qualche giorno decidono di essere più buoni e riescono ad essere più felici.