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mercoledì 24 febbraio 2016
Funghi pleurotus alla griglia
I funghi pleurotus alla griglia sono un contorno che in casa prepariamo molto spesso. Sono veloci e saporitissimi ed inoltre sono legati ad un mio dolce ricordo d'infanzia. Era pomeriggio ed io e mia sorella eravamo a casa di mia zia, mia madre probabilmente era ad una delle sue interminabili riunioni a scuola. Infatti, tornato dall'ufficio, ricordo che papà pranzò a casa della zia (mio padre faceva la sua pausa pranzo mentre noi facevamo già merenda). Di quel pomeriggio ricordo il camino acceso, la graticola sulla brace e carnosi pleurotus sulla graticola che della carne avevano oltre che la consistenza anche il profumo. Non so se come spesso succede i miei ricordi sono alterati da sentimenti ed emozioni legati al periodo più tenero della mia vita, ma quel profumo io lo sento ancora quando ci ripenso. Ogni volta spero di rinnovarlo, ma per quanto mi sforzi non lo ritrovo. Sicuramente non lo ritroverò mai, ma credo che forse sarei agevolata se provassi ad arrostire i miei funghi su una pigra brace, lentamente, girandoli e rigirandoli con pazienza fino a quando risultassero cotti ma non secchi, così come faceva mia zia. Io invece sono costretta ad accontentarmi della mia piastra in ghisa, che arrovento sul fornello. Il risultato è parimenti buono, ma i funghi profumano ...di funghi non di carne ai ferri, come quelli della zia!
Mentre griglio i funghi, rigirandoli di tanto in tanto per non farli seccare e bruciacchiare troppo, in un recipiente preparo un'emulsione a base di olio d'oliva, aceto e sale, dove andrò ad immergere i funghi appena tolti via dalla griglia.
Dopo averli sgocciolati, in un altro recipiente sistemo a strati i miei funghi, cospargendoli con prezzemolo tritato e peperoncino macinato grosso
Alla fine, condisco i funghi con una o due cucchiaiate dell'emulsione di olio ed aceto, in modo che l'insieme risulti ancora più saporito.
I funghi possono essere serviti oltre che come contorno, anche come gustoso antipasto, magari insieme ad altre verdure grigliate.
Buon profumo a tutti!
"...e la fiamma guizza e brilla e sfavilla e rosseggia balda audace,e poi sibila e poi rugge e poi sfugge scoppiettando da la brace..."
G. Carducci
venerdì 19 febbraio 2016
Pane arabo
Per le nostre sarete in compagnia di amici, quando posso, mi piace preparare qualcosa di mio, solitamente qualche lievitato, perché per me non c'è nulla di più avvolgente, intimo e rassicurante del calore del forno acceso e del profumo di pane appena sfornato o di pizza calda calda da portare in tavola fumante e sorridente.
Questa è stata la volta del pane arabo, un pane tondo e schiacciato tipico del medioriente, che si caratterizza per il suo interno vuoto, a mo' di tasca, da riempire con carne o verdure crude o cotte o il tradizionale hummus o qualsiasi altra cosa ci faccia piacere utilizzare.
Dell'hummus, che in casa nostra non manca mai quando preparo il pane arabo, parleremo in un altro post.
Per preparare il pane arabo mi sono ispirata alla ricetta delle sorelle Simili trovata in rete, anche se, come sempre, ho leggermente modificato il procedimento, personalizzandolo quel tanto che basta per farmi sentire più a mio agio. Il risultato è buono, per cui non credo di aver eliminato passaggi vitali!
Iniziamo con gli ingredienti per 8 panini (che io ho moltiplicato per sei, a tavola eravamo in tanti!)
500 g di farina
300 g di acqua
20 g di lievito di birra (io 7 g di lievito secco)
due cucchiaini non colmi di sale
A differenza delle sorelle Simili, che suggeriscono di sciogliere il lievito in una ciotola con metà dell'acqua, di aggiungervi un terzo della farina, impastare e poi aggiungere il resto della farina alternandola al resto dell'acqua, io ho versato tutta la farina in una ciotola, ci ho aggiunto il lievito (io uso quello secco), li ho mescolati ben bene, ho aggiunto l'acqua tiepida, poi il sale ed ho impastato tra loro gli ingredienti.
Ho impastato fino ad ottenere un impasto liscio ed elastico.
Seguendo i suggerimenti delle sorelle Simili, mentre impastavo, ho battuto l'impasto sul piano di lavoro e questo passaggio, credetemi, è liberatorio e rilassante quanto dieci ore di yoga.
Vi faccio vedere le immagini, sperando di rendere l'idea:
Una volta formato il panetto, l'ho diviso in otto parti ed ho formato delle palline.
Ho lasciato lievitare per un'oretta le mie palline, coperte con un foglio di pellicola, per evitare che la parte esterna si seccasse eccessivamente, dopodiché le ho schiacciate ben bene, formando dei dischi del diametro di 12-14 cm
Ho messo a riposare i dischi su un canovaccio spolverato di farina di semola per un'altra oretta.
Ho scaldato il forno a 225° (temperatura massima), e vi ho scaldato le teglie su cui avrei appoggiato i miei panini (il fatto che le teglie siano ben calde è molto importante per il risultato finale).
Passato il tempo di lievitazione e col forno a temperatura, ho infornato i panini, io sono riuscita a cuocerne cinque per volta, tenendoli inforno per 8-10 minuti o comunque fino a che non risultino leggermente dorati (anche qui io sono andata un po' per conto mio: i miei panini sono un po' più che appena dorati, perché a me piacciono un po' più cotti!).
Ogni volta che inforno i panini resto attaccata al forno, come una bambina in attesa di una magia: dopo pochi minuti, il pane si gonfia come un palloncino e si colora d'oro, è quello il momento di tirarlo fuori ed annusarne velocemente la fragranza profumata.
Dico velocemente perché è importante, appena sfornati, metterli in un sacchetto di carta e poi di plastica per una ventina di minuti, perché non si secchino e conservino quel po' di umidità che li mantenga morbidi anche per il giorno dopo.
Una volta raffreddati, i panini posso anche essere congelati.
Per farcire il nostro pane arabo, tagliare un quarto del panino, allargare la tasca con le dita e riempirla con ciò che più si desidera.
Il Pane arabo è pronto, buon appetito!
"Pane è la più gentile, la più accogliente delle parole. Scrivetela sempre con la maiuscola, come il vostro nome."
(Insegna di un caffè russo)
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lunedì 7 dicembre 2015
Oggi pittule!
Vigilia dell'Immacolata, in onore della Madonna oggi i salentini hanno osservato un rigorosissimo digiuno.
In pratica, hanno saltato la colazione.
Per purificare corpo ed anima e per ringraziare la Vergine Maria, infatti, nella giornata di oggi non si mangia carne, ci si riserva una giornata di magra ed io mi concedo la licenza di immaginare la Madre Celeste farsi delle gran belle risate (ovviamente dettate da materna tenerezza) nel vedere la faccia contrita (in segno di sacrificio e penitenza!) delle donne salentine mentre danno il via ai preparativi del pranzo della vigilia. Perché è vero che in questa giornata non si mangia la carne, ma le pietanze che per tradizione si preparano in quasi tutte le case del Salento sono tutt'altro che magre.
Regine della tavola della vigilia dell'Immacolata, ma anche della vigilia di Natale e di Capodanno, sono le pittule.
Esempio tipico della tradizione culinaria del Salento contadino, queste pallottole di pasta lievitata, hanno per secoli sfamato le famiglie salentine sopratutto nel periodo invernale. I suoi ingredienti poveri, farina, acqua e lievito infatti ne fanno un cibo semplice e alla portata di tutti, anche se potevano esserci anni di carestia in cui veniva a mancare anche quel poco di farina e di olio sufficiente a nutrire grandi e piccini. Nella storia della mia famiglia è rimasto un ritornello che i miei nonni ripetevano a mio padre e mio padre a me a testimonianza della durezza dei tempi passati. Poche parole su una vigilia di Natale fredda, con la cucina spenta, senza farina, né olio per fare le pittule, non sembrano neanche una richiesta d'aiuto al Padreterno, ma semplicemente un lamento disperato
Pittule nu tenimu, è fridda la cucina, sprovvisti te oiju simu, è scarcia la farinaSi racconta inoltre che anche gli animali potevano godere delle pittule almeno una volta l'anno, proprio nel giorno di Natale. Si pensava infatti che gli animali in quel giorno potessero parlare con gli angeli e se fossero stati contenti dei loro padroni che gli avevano consentito di mangiare pietanze buone e gustose, allora gli angeli sarebbero stati benevoli nei confronti di quei contadini che si fossero presa buona cura dei propri animali.
Passano i secoli, cambiano i tempi, ma la preparazione delle pittule rimane un momento di aggregazione e di festa, oggi come ieri.
Preparare le pittule ha una sua liturgia fatta di azioni immutate nei secoli, la lavorazione dell'impasto, col braccio teso che gonfia con vigore il composto, fino a fargli prendere vita, fino a sentirlo quasi gioire mentre incamera aria è qualcosa di magico e quasi commovente.
La ricetta è semplicissima, la maestria è richiesta nella lavorazione dell'impasto: non è sufficiente mescolare gli ingredienti, è necessario gonfiarlo facendogli incamerare aria. Gli ingredenti sono:
1 kg di farina 00,
1 lievito di birra,
1 cucchiaio da minestra di sale
800 g di acqua
In una ciotola disporre la farina e il sale e dopo averlo sciolto in un bicchiere di acqua tiepida, aggiungere il lievito e per finire l'acqua, con gradualità. Impastare come detto prima con vigore fino a che l'impasto non risulta gonfio (in dialetto salentino si dice: finché nu face l'occhi - finché non fa gli occhi, cioè finché non iniziano a formarsi delle bolle d'aria). Coprire con un canovaccio e lasciare lievitare fino al raddoppio. Friggere in abbondantissimo olio d'oliva o di semi, aiutandosi con un cucchiaio e lasciano cadere nell'olio palline di impasto delle dimensioni di una noce. Scolare bene e far asciugare su un foglio di carta assorbente.
All'impasto delle pittule possono aggiungersi anche pezzetti di baccalà, cimette di cavolfiore o di broccoli, cicorie, cozze o frutti di mare oppure pomodorini spezzattati e ben sgocciolati, con l'aggiunta di capperi, alici, olive e peperoncino.
Le pittule vanno mangiate calde e possibilmente accompagnate da un buon bicchiere di vino.
Prima di concludere, la chicca dolce: le pittule semplici possono essere "pucciate" nel vincotto, primo mosto reso sciroppo da almeno dodici ore di cottura, oppure possono essere rotolate in zucchero, soprattutto se fredde.
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